Oltre la mia carne. In dialogo con Carlo Massari

Mash up, la performance del danzatore Carlo Massari e un dialogo sul rapporto tra uomo e carne negli Stati Uniti d’America e in Mali

Restituzione musicale dello spettacolo a cura di Jack Spittle

 

Il lavoro di Carlo Massari si apre con un esplicito riferimento, prima letterale, e che poi diventa via via più corporeo e simbolico, al tema della produzione industriale di carne in allevamenti intensivi, delle sofferenze patite dagli animali in questi processi, e del consumo abnorme di carne nei paesi più ricchi, una delle principali cause della produzione di gas serra e, quindi, del riscaldamento globale.

Durante la performance di Massari veniamo trasportati fisicamente e affettivamente nel corpo inquieto e sofferente di creature viventi e senzienti altre da noi, destinate fin dalla nascita al macello. Siamo così condotti giocoforza all’empatia e all’immedesimazione, e da lì, a spettacolo concluso, a una discussione e una riflessione condivisa.

Innanzitutto, a fine spettacolo, abbiamo voluto porre alcune domande all’artista e condividere con lui alcune di queste inquietudini. 

Jack Spittle: «Carlo, perché hai deciso di fare uno spettacolo con dei riferimenti così diretti al tema, ad esempio andando in scena vestito come un pezzo di carne cruda?».

Carlo Massari: «Io finora ho portato avanti un’idea di creazione basata sull’interrogare lo spettatore, farlo riflettere su qualcosa. Da quest’anno ho deciso di spostarmi più sulla provocazione. Mi sono accorto che, paradossalmente, in questo momento c’è, da una parte, molto più interesse del pubblico ad andare a vedere cose, ma dall’altra c’è anche molto assopimento, è molto più presente nel pubblico un bisogno di mero intrattenimento. Ho deciso perciò di fare azioni più dirette ed incisive: ti semplifico il messaggio, vado verso cose più immediate, in cui è facile entrare, per conquistarti e farti stare un po’ con me in questa merda».

foto Carolina Farina

Jack Spittle: «Com’è nata quindi l’idea di questo spettacolo?»

Carlo Massari: «Ho appena chiuso un progetto sul tema della bestialità umana. Il mio prossimo progetto, che parte proprio da questo Mash up, verterà sui temi della Metamorfosi e della Rinascita, intesa non per forza come una cosa bucolica e rassicurante, ma piuttosto come un processo che può anche essere una cosa estremamente sofferta. Questo spettacolo vuole essere una preparazione a questo tema: noi parliamo di rinascita, ma se non cambia il sistema intorno a questa rinascita non sarà una rinascita, sarà solo un replicarci in quello che abbiamo già sbagliato in passato, quindi gli allevamenti intensivi e tutto quello che comportano».

Mahamadou Kara: «Quali sono le emozioni che vorresti produrre nello spettatore? E cosa senti tu da un punto di vista emozionale durante la performance?».

Carlo Massari: «È appunto per me un’esperienza di metamorfosi fisica, che peraltro fa parte in sé del percorso dell’artista il saper   e produrre metamorfosi, altrimenti rimaniamo noi stessi. Metamorfosi è anche un cambiamento che io ti faccio passare come spettatore, cioè provo a indurre lo spettatore alla Metamorfosi, esattamente in questo consiste la provocazione. Non solo farti pensare a qualcosa, ma piuttosto che questa cosa resti da qualche parte in te, nel tuo corpo o nell’inconscio, come un seme che lentamente germoglierà. E probabilmente, di questa sera, lo 0,1% degli spettatori che erano lì hanno iniziato a riflettere sugli allevamenti intensivi, o comunque, quando ne sentirà parlare, ci penserà magari un attimo».

foto Carolina Farina

Mahamdou Kara: «Carlo, tu sei vegetariano?».

Carlo Massari: Io sono diventato un vegetariano di fatto, anche se non mi definisco tale. In me c’è stato un cambiamento, dato proprio dall’interessarmi a un argomento. Vidi uno spettacolo che mi destò interesse sul tema degli allevamenti intensivi e mi smosse, questa cosa ha poi generato in me un effetto a catena che mi ha portato alla scelta di non mangiare più carne. Una cosa su cui rifletto spesso è che noi ormai in un pezzo di carne vediamo una cosa inerte, senza forma, e ci dimentichiamo che è appartenuto a qualcos’altro, non pensiamo più all’animale che era, non lo visualizziamo più. Questa cosa si è scatenata in me un giorno, qualche anno fa, quando ho assistito ad un incidente stradale. È stata una cosa terribile, per terra ho visto dei pezzi di carne umana. Sul momento ho avuto solo nausea e rigetto, poi però li ho guardati questi pezzi di carne umana, e infine questa immagine di carne, di ciò che ci accomuna tutti come esseri viventi, mi si è imposta e non mi ha più abbandonato».

 

 

Poi, salutato Carlo, abbiamo continuato a parlare tra noi.

Union Stock Yards, Chicago, 1947 – en.wikipedia.org

Mahamdou Kara: «Quello che abbiamo visto mi fa pensare al mio rapporto con gli animali e con la carne, quando ero in Mali. Io con le mucche ci sono cresciuto. Devo dire che da quando sono arrivato in Europa, fino a oggi, io non ho mai più sentito quel gusto della carne, quel vero gusto a cui ero abituato fin dalla nascita. Qui la carne la mettiamo dentro il frigorifero, la compriamo al supermercato. È tutta congelata, tu tagli la carne e non trovi il sangue. Vabbè, ci sta pure la carne appena fatta dal macellaio, sarà un problema economico, che uno va a comprare la carne congelata. Ma quando la cucino io non sento troppo il gusto».

Jack Spittle: «Kara, tu sei cresciuto con le mucche, le vedevi forse nascere. Io sono nato a Chicago, dove la mucca muore, diventa merce.  Chicago nell’Ottocento era il nodo centrale della ferrovia Americana, in più era circondato da milioni di ettari di pianura. Allora quando hanno inventato il treno ghiacciato la città è diventata il centro della produzione della carne. Nel 1865 hanno aperto gli Union Stock Yards, un enorme mattatoio urbano che applicava le tecniche industriali al settore della carne, per esempio la linea di (dis)assemblaggio. I contadini mandavano gli animali in città dove venivano uccisi, macellati, caricati sui treni e mandati in tutto il paese, perfino in Inghilterra. Ci sarebbe tanto da dire su questo mattatoio, l’inquinamento, lo sfruttamento dei lavoratori migranti, le lotte sindacali, ma ti lascio solo con questo numero: dopo solo pochi anni a Chicago stavano ammazzando circa 15 milioni di animali all’anno.  Te lo riesci a immaginare? Guarda questa foto di quell’epoca degli Stocks, fa paura a guardarla».

Mahamadou Kara: «Sì, fa veramente impressione. Ma ora che parli della ferrovia mi fai venire in mente una cosa, che a ripensarci adesso mi fa ridere. Carlo durante lo spettacolo fa un gesto, c’è una parte in cui si vede nascere un vitellino tutto tremante, e io mi sono ricordato che noi da bambini a Kita – la mia città in Mali – quando passava il treno di notte pregavamo che quello fosse proprio il momento in cui il bérbere attraversava la ferrovia con le mucche, perché la mucca quando la luce gli abbaglia in faccia si spaventa e rimane ferma sui binari, e il bérbere non fa in tempo a cacciarle tutte. E noi speravamo che il treno investisse una o due mucche per andare lì, tagliargli le gambe e portarle a casa per mangiarle.

foto Carolina Farina – Mahamadou Kara, Giorgio e Jack

Al mio paese, quando una mucca muore così, gli anziani non ne mangiano la carne, perché dicono che non è Halal (“pura”, ndr). Perché una mucca, per essere Halal, la devi uccidere dicendo prima Bismillah (in nome di Allah) e se non è così, quella carne la mangiano solo i bambini».

Jack Spittle: «Mi fa ridere questa cosa di Halal che dici tu, perché è così lontano dalla mia esperienza. Per noi solo vedere una mucca o una pecora era una cosa pazzesca. Quando andavamo a visitare i miei nonni in Inghilterra, loro vivevano in campagna, c’erano tante pecore e quando le vedevamo io e mia sorella ci attaccavamo alle finestre ad indicare e gridare “PECORA! PECORA! PECORA!” A Chicago l’unica carne che vedevamo era quella descritta da Carlo: neanche una cosa morta, una cosa inerte, tutta già tagliata in pezzi perfetti e impacchettata nella plastica. Le interiora non si trovano se non in alcune macellerie “etniche”, messicane polacche o cinesi. Da noi è tutto bistecca e hamburger, le cose che ci fanno meno pensare che la carne viene da un essere vivente insomma».

 

Jack Spittle, Mahamadou Kara Traore, Giorgio Sena

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