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Foto Carolina Farina

Nella cornice del Parco di Tor Fiscale ha avuto luogo Atrio, un gioco di ruolo, o come direbbe l’ideatore e facilitatore Salvo Lombardo  (coreografo della compagnia Chiasma),  “una pratica”, che ci ha permesso di interrogarci su alcuni elementi che compongono la nostra identità e la società che viviamo.
Dal contenuto della borsa, lo zaino o le tasche di ognuno di noi, è partita una ricerca sul posizionamento degli oggetti trovati che andavano inseriti all’interno di categorie, tra cui “nazionalità”, “livello culturale”, “reddito”, “genere”, “orientamento sessuale”, “etnicità”, “stato clinico”.
Lombardo ci propone questa pratica partendo dalle domande che lui stesso si è posto iniziando il suo processo di ricerca artistica, ad esempio «come si costruiscono le identità?», «se prendiamo in esempio il concetto di autodeterminazione che legame c’è tra autodeterminazione e costruzione della propria identità?» o ancora, «e se prendiamo in esempio le dinamiche sociali? O persino le relazioni tra individui, quanto incidono nella costruzione o nella definizione della mia identità?».
L’attività suscita effettivamente una serie di riflessioni e di messe in discussione, sia con se stessi che con gli altri, rispetto ai propri privilegi, agli stereotipi, ai pregiudizi, lasciando spazio a una vera e propria assemblea.
Dopo aver partecipato ad Atrio, nel nostro gruppo di redazione c’è stato un confronto, soprattutto sulla differenza tra i concetti di “etnicità” e “nazionalità”, tra me e Kante che qui di seguito troverete approfondita.

Foto Carolina Farina

Anna: Rispetto al gioco che abbiamo fatto che cosa ti ha colpito di più?

Kante: Mi ha fatto riflettere sulla differenza tra quello che ho vissuto qua rispetto al mio paese, il Mali. La cultura e l’etnicità nel mio paese sono più evidenti. Ogni etnia ha i propri vestiti, lingua, cibi diversi. Per esempio, se il riso è fatto in un modo vuol dire che è di un’etnia soninke, o bambara o jula. Anche rispetto ai vestiti, se io vedo una persona posso dire se è di un’etnia bambara, soninke o jula. Qui in Italia non vedo questa differenza, dai vestiti non si può capire di che etnia è quella persona. Magari dalla lingua posso capire se è napoletana, sarda o romana.

Anna: In realtà anche da noi esiste questa differenza, anzi, in Italia c’è tantissima varietà per ogni regione però negli ultimi anni si è persa. Intendendo la cultura come modo di vestire, piatti tipici, lingua, fino a sessant’anni fa andare a Napoli o andare a Venezia era un’esperienza completamente diversa sotto tutti i punti di vista. In questo caso la globalizzazione ci presenta uno dei suoi lati peggiori facendo sparire molte tradizione e particolarità specifiche delle culture.

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Kante: Secondo me l’etnia e la cultura sono importanti perché identificano la persona. Da noi è una cosa molto importante perché ognuno vuole presentarsi con la propria etnia, io voglio che la gente sappia chi sono e per saperlo deve guardare quello che faccio. Per esempio io sono un orafo e da me la gente quando mi vede con bracciali e collane d’argento pensa automaticamente che sono un orafo. Ognuno vuole far capire all’altro chi è e da dove viene, perché siamo legati alle tradizioni, ai nostri parenti, alle culture appartenenti ai nostri antenati. Le tradizioni e i mestieri si tramandano da una generazione all’altra, qui per imparare a fare un braccialetto devi andare a scuola mentre da me no, non serve andare a scuola per imparare un mestiere.

Anna: Pensi che la tradizione in questo caso possa anche essere un ostacolo, rispetto al tramandare un mestiere? Se tu non avessi voluto fare l’orafo, ma avessi avuto una passione per la sartoria?

Kante: Si può fare! La globalizzazione in questo caso ci ha dato modo di imparare altri mestieri, adesso le cose sono cambiate pure da noi, ma prima non si poteva fare. Anche a casa mia non è che tutti fanno gli orafi, quindi qualcosa è cambiato.

Anna: E per te è meglio adesso?

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Kante: Va bene imparare altre cose ma per me è importante imparare la mia tradizione perché non sparisca. È vero che il mondo è cambiato, ora da me ci sono tanti mestieri possibili, però bisogna tramandare la cultura tra le generazioni. Adesso tanti bambini vanno a scuola, quindi non sono obbligati ad imparare il mestiere della famiglia. Io ho imparato il mestiere dell’orafo quando avevo 18-19 anni perché tutta la mia infanzia l’ho passata a scuola e non ho avuto tempo di imparare, ma quando ho avuto una certa età ho deciso io di imparare questo mestiere di famiglia, come qualcosa che rimane a me.

Anna: C’è qualcos’altro del gioco che abbiamo fatto insieme che ti è rimasto impresso?

Kante: La nazionalità è un altro tema da discutere. La nazionalità non significa soltanto avere un pezzo di carta che attesta che sono italiano. Per me anche la nazionalità è basata sulla cultura, le tradizioni. Se io dico che vengo dal Mali, non basta un pezzo di carta per provare che sono maliano, devo provarlo con la lingua o con le culture maliane.

Anna: Quando abbiamo discusso di questo nel gioco, perché sotto la parola nazionalità sono stati messi solo documenti, dicevamo che “nazionalità” si usa soprattutto nella burocrazia ad esempio sui documenti e denota solo il posto in cui sei ‘riconosciuto’ come nativo. Considerandolo quindi come solo luogo di nascita amministrativo io credo che non abbia nessuna valenza. Magari a 3 giorni dalla tua nascita ti sposti in un altro posto e vivi tutta la tua vita lì, è quello il luogo che ti appartiene, anzi, la cultura a cui tu appartieni.

Kante: Io posso avere un figlio che nasce qui e visto che io ancora non ho la nazionalità, direbbero che è maliano. Mio figlio in pratica sarebbe maliano ma in teoria non lo è, magari non sa nulla del Mali tranne ciò che gli racconto io.

Foto Carolina Farina

Anna: Infatti questo è interessante perché nel gioco si parlava della costruzione dell’identità, e il luogo di nascita come fa ad avere a che fare con la mia identità? Ciò che costruisce la mia identità sono i posti che ho visto, in cui sono cresciuta, le persone che mi hanno formato, quelle con cui mi sono relazionata durante la crescita.

Kante: Per questo dico che la nazionalità non può essere intesa solo come un pezzo di carta, se mio figlio è nato qui ma non sa niente della cultura, della tradizione e della lingua maliana, ma è nato in Italia, parla italiano e conosce la cultura italiana, ma sui documenti è maliano gli hanno impedito di essere quello che è su un pezzo di carta. Per questo dico che non basta un pezzo di carta per dire nazionalità, deve essere dimostrato. Per esempio, se io vengo qua per avere la nazionalità italiana, ci vogliono almeno 10 anni, devo integrarmi, ecco perché devo imparare la cultura italiana e la storia, perché altrimenti non mi danno la nazionalità, quindi vuol dire che le culture e le lingue rappresentano la nazionalità.

Anna: È stato davvero interessante. Grazie mille.

Kante: Grazie a te.


SALVO LOMBARDO – Chiasma / Atrio 2022

Atrio consiste nella creazione di un “perimetro relazionale” reso possibile da una pratica guidata pensata per favorire, nel suo svolgersi, uno scambio e una discussione orizzontale; per questa sua natura è un dispositivo mobile, fluido e aggiornabile in relazione ai contesti che lo accolgono. Tramite una pratica ludica e interattiva, Atrio propone una riflessione sui processi di costruzione delle identità, siano esse culturali, di genere, nazionali ecc. Le persone partecipanti sono coinvolte in un meccanismo di costruzione, posizionamento, decostruzione e riposizionamento delle identità di ciascun* attraverso l’uso di oggetti del quotidiano e l’emersione (o l’invenzione) di elementi narrativi, autobiografici e l’analisi di elementi teorici.

Durata: 60 minuti

Bio Compagnia
Salvo Lombardo, performer, coreografo e regista multimediale. È direttore artistico di Chiasma e artista associato alla Lavanderia a Vapore e al Festival MilanOltre. Nel 2017-18 è stato artista associato al Festival Oriente Occidente. Nel 2019-21 è stato co-curatore di Resurface Festival incentrato sulle pratiche decoloniali. Nel 2020 è tra i fondatori di Ostudio (Roma). Dal ’21 cura Interazioni ~ Festival. I suoi lavori muovono tra la performance, la danza e le arti visive e sono ospitati in numerosi contesti in Italia e all’estero. Nel 2021 ha realizzato il progetto digitale Punctum per il network europeo BeSpectActive!. Attualmente è uno degli artisti coinvolti nel progetto europeo Micro Macro Dramaturgies in Dance e nel progetto di ricerca postcoloniale May Town di Schaubühne Lindenfels Leipzig (DE).

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