Affacciarsi su Largo Spartaco. Panoramica e visioni di una piazza

L’ultimo sabato di festival visto da un balcone del Boomerang e dalla piazza, uno sguardo sulle performance di Collettivo Cinetico e Salvo Lombardo|Chiasma

foto Umberto Tati

Sopra.

Luca: Sono quattro anni che a settembre da Largo Spartaco seguiamo il festival Attraversamenti Multipli ma è la prima volta che ci infiliamo in uno dei portoni che si nascondono dietro la piazza dal via vai di pubblico e artisti. Bisogna infatti girare alle spalle del cosiddetto Boomerang, il lungo edificio in linea piegata a “V” che delimita Largo Spartaco, per trovare le scale degli abitanti che in questi quattro anni abbiamo visto affacciarsi più volte sulla piazza per partecipare dai balconi o dalle finestre a ciò che succedeva sotto casa loro. Lì dietro, costeggiando GarageZero, ad aprire il portone a me e a Mahamadou Kara Traore e poi le porte dello stretto ascensore che si arrampica fino all’ultimo piano, è Umberto Tati. Umberto è una delle eredità amicali che il festival di questi anni ci ha regalato e uno dei fotografi che più ci ha seguito e guardato scoprire quello che lentamente diventava un po’ anche un luogo nostro, dove con le persone abbiamo iniziato a riconoscerci.

A casa di Umberto c’è Claudia, sua moglie. Ci sediamo con un caffè in mano, è notte, le porte finestre del balcone sono aperte sulla piazza. Per la prima volta sento il festival dall’alto, da lontano ne percepisco l’eco, quel suono indistinto di applausi, musica, chiacchiericcio. Fino a cinque minuti fa ero parte di quel suono anche io, ora invece in silenzio guardo Claudia finire di pulire il piano cottura mentre Mahamadou Kara le fa le domande che abbiamo preparato con le altre e gli altri prima di salire.

Mahamadou Kara: Come è cambiata la vita della piazza con il festival?

Claudia: Lo puoi sentire tu stesso, anche se stai in casa non stai mai da sola! Anche se una sera non scendi, è come se fossi lì, praticamente la piazza è dentro casa mia, fa parte del nostro palazzo.

Mahamadou Kara: Che relazione c’è tra la piazza e il Boomerang?

foto Umberto Tati

Claudia: Questa piazza non c’è da sempre. Prima era un grande parcheggio [la Largo Spartaco dei primordi la si può trovare nei fotogrammi di due capolavori, Mamma Roma di Pasolini e Un borghese piccolo piccolo di Monicelli N.d.R.]. Noi siamo qui dal novanta, e quando è stata poi fatta la piazza non tutti erano contenti. Effettivamente all’inizio venivano qui sotto solo sbandati con la radio della macchina a palla e la notte ci dovevamo sorbire tutte queste canzoni neomelodiche e uno spaccio notevole. Fino a che poi la gente si è stufata e alla fine la vita della piazza è stata positivamente polarizzata dall’attività del Csoa Spartaco e dall’avvento della birreria Sottosopra, che prima era un’enoteca, con la quale dopo un primo momento di complessità si è stretto un rapporto di forte amicizia con le famiglie del palazzo. Negli anni hanno organizzato tante cose, hanno creato dei legami con Spartaco e si è creata una rete. Ora ci sono i bambini che giocano fino a tardi. L’arrivo e l’azione del festival è contemporanea ed affiancata a questo processo e durante l’anno la gente viene lo stesso, ormai è un punto di ritrovo.

Luca: Mentre Claudia esce dalla cucina, mi affaccio dal balcone. Eccola lì, la piazza. Eccolo lì, il festival. Da qui, stasera, le vedo davvero come due cose indistinte. In questo orizzonte la danza di Collettivo Cinetico è nella stessa partitura visiva di due bambini che giocano a calcio con il papà, del ragazzino col caschetto fosforescente che inciampa sui piedi della madre, dei tre ragazzi che mangiano una pizza su una panchina e delle comitive sul muretto che bevono e parlano, del cameriere che raccoglie dei bicchieri vuoti da un tavolo, della macchina che fa inversione a U mentre un performer traccia delle curve sul tappeto bianco steso a terra per la grafic live della performance. Un aereo passa sulle nostre teste, vicinissimo, la finestra a fianco al balcone si accende, è Claudia, il suo muoversi nella stanza è un intercalare tra i rumori dei bicchieri della birreria, il tappeto sonoro del dj live Angelo Pedroni e il bambino che corre a perdifiato mentre un tipo lascia Largo Spartaco e se ne va, chissà dove, con un passo deciso. C’è un odore di basilico fortissimo in questa visione olistica, sale dai vasi del balcone; chissà se se lo immaginano Francesca Pennini e Margherita Elliot con il loro O+< scritture viziose sull’inarrestabilità del tempo, mentre rimangono impresse nell’obbiettivo di Umberto, chissà se stanno percependo anche loro questa inarrestabilità perfino dello spazio. Un altro scatto, uno sportello di un’auto che si chiude, poi la musica, due moto che sgasano e il pubblico che applaude. La performance di Collettivo Cinetico a Largo Spartaco è appena finita.

foto Carolina Farina

Sotto.

Aurora: Mentre sulla chat Whatsapp della redazione ci arrivano le foto di Luca e Mahamadou Kara da uno dei balconi sopra di noi, è terminata Pubblico in site specific La sedia vuota aspetta il prossimo, ideazione di Giovanna Velardi e Paolo Roberto D’Alia prima nazionale al festival Attraversamenti Multipli e sta inizando l’ultimo appuntamento della serata, Let My Body Be! ideato da Salvo Lombardo|Chiasma. La performance non si rivela tanto come uno spettacolo a cui assistere, quanto piuttosto come un’azione a cui partecipare. Qualche minuto prima dell’inizio agli spettatori-attori sono distribuite delle cuffie, tramite le quali l’artista comunica con loro, indicandogli dei semplici gesti corporei da eseguire. Inizialmente le azioni appaiono autonome e slegate come le persone che le compiono, poi fluidamente e quasi inavvertitamente confluiscono in un’unica grande azione corale, come fossimo in mezzo a una qualsiasi piazza del mondo. I corpi e il loro muoversi sono l’aspetto centrale della performance, che riflette non solo sul movimento in quanto tale, ma sul movimento come affermazione di sé e soprattutto del sé sociale. Camminare, così, diventa un verbo che ne nasconde tanti altri: essere, scoprire, affermare, imporsi. Diventa un gesto inaspettatamente politico: cammino, mi riapproprio di uno spazio urbano, mi collego ad una rete pressoché infinita di eventi, luoghi e persone e, soprattutto, partecipo. E mi tornano in mente le parole di Jack mentre, prima che Luca e Mahamadou Kara salissero a casa di Umberto, ci interrogavamo su cosa significasse vivere una piazza. Jack: «Non ci sono piazze da dove vengo, a Chicago; e la piazza è stata una dei fatti urbanistici che più mi ha affascinato dell’Italia». Mahamadou Kara: «Noi in Mali abbiamo un luogo dove ci incontriamo, ma è molto diverso dalla piazza italiana. Lì non c’è una piazza ovunque vai. Da piccoli andavamo a giocare in questo punto di riferimento e la sera le mamme ci venivano a cercare. Dai sedici anni non ci vai più, è solo per i piccoli o gli anziani.

foto Carolina Farina

Credo che le piazze siano luoghi importanti per i bambini, perché tutto comincia da lì, oltre la scuola o l’asilo. I bambini in piazza conoscono i loro vicini, la gente del loro quartiere. È un punto di riferimento, dove non c’è un indirizzo, il numero civico, un portone per entrare… è pubblico, quindi tutti hanno il diritto di starci».

Sopra.

Mahamadou Kara: Com’è stato accolto l’arrivo del festival?

Claudia: All’inizio non eravamo molto abituati. In piazza l’unico evento organizzato era il Boomerang fest, organizzato ogni anno dal centro sociale Spartaco. L’arrivo di Attraversamenti Multipli è stata una cosa molto speciale, è stato accolto in maniera entusiasta, con moltissima gente che ha partecipato. Vengono molte persone anche da altre zone limitrofe, da Appio Claudio, da San Policastro.

Mahamadou Kara: Il festival è quindi riuscito a entrare nella vita della piazza e del palazzo?

Claudia: Io penso proprio di si, anche se molti partecipano dalla finestra. Quelli che scendono materialmente sono un po’ gli stessi, questo è un palazzo con molte persone anziane. Però ripeto, anche le persone più anziane a loro modo partecipano. La piazza “rumorosa” è accolta positivamente dagli abitanti perché è anche utile, fa compagnia; e se esci la sera e torni sei sicuro che qui la gente la trovi lo stesso e quindi non ti metti paura a tornare a casa, è un avamposto di vita territoriale.

foto Carolina Farina

Luca: C’è un’immagine di Attraversamenti Multipli che hai visto dal balcone che ti ha colpito particolarmente?

Claudia: Lo spettacolo che ho visto domenica del funambolo, Mistral (qui, Fidati di me. Sulla corda tra artista e pubblico con Mistral). Ho visto solo l’ultimo pezzo ed ero terrorizzata, ho visto questo performer a un certo punto in piedi su un palo altissimo, e ho immaginato cosa potesse vedere lui dall’alto, lì sotto di me. È stato interessante, i bambini penso che siano impazziti a vedere una cosa del genere. All’inizio stavo lavorando seduta al tavolo e sentivo solo la sua voce che parlava, poi qualcosa mi ha incuriosito, mi sono affacciata e l’ho visto che camminava sul palo. E ho continuato a guardarlo dal balcone.

Sotto.

Aurora: Si riesce a capire molto – forse tutto – di una città dalle sue piazze e dai loro “attraversamenti multipli”. Che si stia da soli o in compagnia, distratti o in ascolto, la piazza permette di conoscere e interagire con ciò che ci circonda, e anche di capirne le caratteristiche e i bisogni. Appare necessaria, quindi, la mobilitazione dei corpi verso un abitare comune, verso la rivendicazione di uno spazio pubblico che custodisca e rinnovi la comunità. Uno spazio pubblico in cui poter urlare “let my body be!“.

Aurora Leone, Luca LòtanoJack Spittle, Mahamadou Kara Traore e la REdazione Meticcia

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