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La danza di Claudia Catarzi: cosa c’è prima di lasciarsi andare.

Scorrere lento di un corpo in posizione supina sopra un grande pannello di legno posto diagonalmente. Un corpo che si lascia trasportare dalla sola forza di gravità. Un corpo senza più vita, oppure un corpo che ha raggiunto un senso di pace. Un punto zero da cui sentirsi libere. Un vuoto dentro cui poter riflettere e attraverso cui connettersi al dolce lento scorrere del tempo. Buio.
Termina così 14.610 di Claudia Catarzi, nel Parco di Tor Fiscale nella seconda giornata del festival Attraversamenti Multipli.

es.pongo di Giulia Lannutti

Ci fermiamo in cerchio a parlarne, con le e i partecipanti del laboratorio di Redazione Multiculturale. C’è chi pensa a una storia d’amore, ispirato forse dalle parole della musica che accompagna i movimenti della performer. C’è chi ci ha visto una lunghissima preparazione prima di buttarsi nel far qualcosa. Chi in questo vi ha letto una nota di amarezza, come quando passi metaforicamente una vita a prepararti e alla fine ci muori sopra, per paura o cocciutaggine o per tanti altri limiti che impediscono di buttarsi. Tante/i leggono nella scena finale un’immagine di morte. Julio però aggiunge: “immagine di morte e di emozione”. Lo trovo un accostamento di parole che vibra. La discesa lenta che con attrito si ferma a metà ci stimola una riflessione profonda sulla morte. L’idea di fine rimane un po’ sospesa, la racconta senza imporla. Zara si lascia quindi trasportare nelle sue memorie… una poesia incompiuta di Reza Barahani dal titolo «از هوش می …», “I’m passing out”, “Sto svenendo” (qui, la voce del poeta iraniano che legge la poesia al Festival de la Quinzaine Culturelle Iranienne di Strasburgo del 2013).

foto Carolina Farina

Alcune di noi invece leggono nella performance un c’è l’ho fatta. C’è l’ho fatta a scendere. Giulia è rimasta attratta dalla caduta non libera, dalla tensione creata dal controllo, dalla decisione e dalla consapevolezza dietro ai movimenti della performer, per decidere di scendere, cadere, lasciare andare. Ed infine Roberta torna sul tema dell’amore, quello verso se stesse/i però. La ricerca di equilibrio nello spazio in cui si deve stare, la curiosità di uscire, il provarci con piccole parti del corpo. Così nell’immagine finale ci vede la pace, quella raggiunta dall’abbandono della propria zona di comfort.

In tutte queste letture ricorre il tema della liberazione, osserva Daniele. Liberarsi per lasciare andare, o lasciare andare per liberarsi.

Per Ashraf sembra essere più complicato esprimere il suo pensiero. Dice di non aver visto molta danza prima, nemmeno in tv. “Quando guardo questo, non penso”. Ma mentre scuote la testa in cerca di parole per spiegarsi, le sue braccia sono molto più espressive di quanto lui pensi. Si aprono lunghissime, come a cercare qualcosa più grande di lui. Si alzano un po’ oltre la testa in segno di rassegnazione verso qualcosa per cui non trova le parole.

foto Carolina Farina

Dice di aver visto bellezza in questo lavoro, ma cosa significa non è sicuro di saperlo. Agli occhi di Ashraf:

من وجهة نظري أرى أنه في البداية يوضح من خلال تداول الحركات المختلفة أنه يحاول القيام بشيء ما، لكنه يجد صعوبة في التقدم ويبذل الكثير من الجهد ويستمر في المحاولة حتى نجده في النهاية أنه يموت لأنه بذل جهدا كبير

“Dal mio punto di vista, vedo che all’inizio spiega attraverso la circolazione di diversi movimenti che sta cercando di fare qualcosa, ma trova difficile avanzare e fa molti sforzi e continua a provare finché alla fine non troviamo che muore perché ha fatto una grande fatica”.

Ci è chiaro sin da subito che 14.610 di Claudia Catarzi ha relativamente bisogno di un filo narrativo: la struttura di legno su cui Claudia si muove è grande, ingombrante e cattura l’attenzione. È semplice ed essenziale, muta ma allo stesso tempo parla forte e chiaro.

“Oltre i fili narrativi” foto e elaborazione grafica Giorgia Belotti

Basta rilassare lo sguardo verso l’orizzonte e lasciare che la messa a fuoco dell’occhio cada un po’ più in là della struttura stessa. Si crea quindi la visione di un paesaggio su più livelli, in trasformazione, ipoteticamente infinito, come quel corpo morbido che gioca con gesti circolari e fluidi. Passa sopra le nostre teste un aereo. Ora Claudia, non è che una minima parte di quello che il mio occhio ha la capacità di cogliere. I suoi arti con movimenti geometrici, a volte ripetitivi come se entrassero in un loop, non sono altro che parte di un ingranaggio, un meccanismo più grande. Questo momento che vivo mentre guardo Claudia non è che una piccolissima parte dei suoi 14.610 giorni vissuti fino ad ora. Chissà quante strutture, quante tensioni, quante paure ci accomunano. Salire, scendere, lanciarsi, abbandonarsi; chissà.

Giorgia Belotti
con i contributi dei partecipanti al laboratorio di Redazione Multiculturale LEREM per Attraversamenti Multipli 2024