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Il primo incontro di redazione alle Biblioteca Interculturale Cittadini del Mondo

Sul sito del progetto www.lerem.eu iniziamo tutto con questo testo di Tullio De Mauro, da L’educazione linguistica democratica:

Possiamo dire una cosa disegnando, cantando, mimandola, recitando, ammiccando, additando, e con parole; possiamo dirla in inglese, in cinese, in turco, in francese, in greco, in piemontese, in siciliano, in viterbese, romanesco, trasteverino e in italiano; possiamo dirla con una sintassi semplice, per giustapposizione di proposizioni, o con una sintassi contorta e subordinante; con parole antiche o nuove, nobili o plebee, usate o specialistiche; possiamo dirla come uno scienziato o un poliziotto, un comiziante o un cronista, un gruppettaro o un curato di campagna; possiamo gridarla, scriverla a caratteri cubitali o in appunti frettolosi – possiamo dirla tacendo, purché abbiamo veramente voglia di dirla e purché ce la lascino dire.

Allora dopo il nostro primo incontro di redazione con le e i partecipanti abbiamo provato a ripensare al nostro desiderio di dire, alle lingue e i linguaggi che c’erano in quel cerchio e che da domani attraverseranno il festival Attraversamenti Multilpli. Eccoci, dalla scuola di italiano del centro interculturale Asinitas, dalla scuola di italiano della Biblioteca Interculturale Cittadini del Mondo, da BlackPost L’informazione nero su bianco e dalla città tutta.

foto Carolina Farina

Mi chiamo Julio, secondo mia madre la prima parola che ho detto era “papa”, che non significa né padre né ha a che fare con la religione. “Papa” è una forma di dire patate in spagnolo, che è il primo cibo che si mangia da piccolo. Quindi si, la prima lingua che ho imparato è lo spagnolo. Ho scritto la mia prima lettera sempre in spagnolo, ho cantato, ho mentito, ho imparato, ho detto delle parolacce. Ancora oggi se devo litigare veramente lo so fare solamente in spagnolo. L’inglese ho imparato a leggerlo perché a Cuba veramente si trova ovunque, segnali , libri, cibo, medicine è veramente la lingua dello sviluppo. L’italiano invece l’ho imparato a Roma, per la necessità di comunicare. In teoria risulta facile il suono e la pronuncia, è come lo spagnolo, ma i gesti sono unici. Attualmente diciamo che posso trasmettere una idea ad altri che conoscono l’italiano senza dire una parola in italiano.

Sono Francesca. Sono nata ascoltando tre espressioni dell’ italiano, il milanese di mia madre, il romano di mio padre e il marchigiano di mio nonno. Sono cresciuta poi imparando l’inglese a scuola e più tardi sempre a scuola scegliendo il liceo artistico ho imparato il linguaggio dell’ arte in particolare quello del cinema. A 15 anni ho iniziato un corso di teatro e ho scoperto di poter parlare con tutto il corpo oltre che con la voce. Più tardi ho cominciato anche un corso di danza e ho imparato ancora di più cosa vuol dire emozionarsi con il corpo. Nel mio terzo anno di liceo ho conosciuto una ragazza brasiliana con cui ho stretto amicizia e li ho scoperto una cultura differentissima dalla mia. Sono stata in Brasile e mi si è attaccata addosso una sonorità che non conoscevo. Più tardi studiando cinema in maniera più approfondita ho iniziato a capire il linguaggio delle macchine da presa e del suo linguaggio. Infine inizio un corso di teatro professionale e imparo che la lingua italiana e l’ articolazione e la dizione sono proprio un atteggiamento verso le parole che iniziano a brillare un po’ di più anche se il mio romano è e sarà sempre il mio linguaggio.

foto Carolina Farina

Sono Zara. Parlo la lingua persiana. Ma sono cresciuta nell’atmosfera di dialetto Taleqan (del paesino dove sono nati i miei) tra poesia e storia e proverbi di Taleqan. Mia madre era molto intelligente, perché ha imparato la lingua turkey dai nostri vicini . Quindi ho sentito tante volte lei parlare un’altra lingua!
Quando ero bambina tra di Iran e Iraq c’era la guerra. Mi ricordo che ho visto tanti film di guerra in Tv nei quali i soldati iracheni parlavano Arabo. Ma anche avevo un coinquilino Arabo nel durante l’università.
Conosco tanti dialetti del’Iran. Lori, ghilak, mazani, yazdi, isfihani, Lak … Anche a scuola mi hanno insegnato arabo e inglese, ma la maestra inglese della nostra scuola per 4 anni era un disastro!
Quindi piano piano è arrivata la paura di imparare l’inglese!!
Ma io volevo risolvere questo problema quindi sono andata a lezione di lingua spagnola a Teheran! Però non è andata via la mia paura! Quando ho deciso di venire in Italia, ho comprato un libro di lingua Italiana. Adesso sono molto contenta quando riesco a capire. Nella scuola di italiano di Asinitas sento sempre anche tante altre lingue: bengalese, cinese e tante altre.

Sono Giorgia. Sono cresciuta con storie e ninna nanne in italiano, dialetto siciliano e dialetto bresciano. Da quando ho tre anni studio uno dei linguaggi del corpo: la danza.
Ho iniziato a formulare i miei primi pensieri ed opinioni in italiano per poi arrivare a pensare in inglese durante i miei studi di arti performative all’estero. Ho ascoltato compagni di classe parlare l’olandese, il tedesco, il francese, il cinese, il croato, il greco, lo spagnolo.
Mi sono innamorata in spagnolo, che ora parlo come se fosse un linguaggio che mi è sempre appartenuto. Lavorando in Slovenia e Slovacchia ho ascoltato alcune delle minuziose similitudini e differenze tra lo sloveno, lo slovacco, il croato, il serbo e l’ungherese. 
In questo momento lavoro ascoltando modi di dire romani e toscani e mi diverte imparare qualche parola in bengalese. In generale mi affascina conoscere come in diverse lingue si esprima un concetto o un’idea, riconoscere le simili radici o le abissali differenze tra parole. E soprattutto giocare con la loro sonorità: kamun aso? Balosi!

foto Carolina Farina

Mi chiamo Ali, sono nato nella capitale libica, si chiama Tripoli, come tutte le capitali del mondo, ci sono tante nazionalità e culture diverse, parlo arabo, l’inizio del mio amore per la lingua è stato a causa di mia zia. Era un’insegnante di lingua araba. Ogni sera prima che andassi a dormire mi raccontava storie bellissime. A scuola ero curioso e amavo imparare e conoscere più lingue e tradizioni. Per altri motivi ho viaggiato a Malta e ho imparato il maltese e l’inglese, poiché vivo qui in Italia, ho imparato a scuola e ho amato molto l’italiano, e ho ancora l’ambizione di imparare più lingue e comunicare con tradizioni diverse.

Sono Giulia. Da quando sono nata ho ascoltato e imparato due lingue: l’italiano e l’abruzzese. Mia madre non voleva che noi parlassimo dialetto da piccoli. Mio padre era noncurante rispetto al tema.
Nel corso del tempo ho imparato l’italiano dei libri, quello di casa e quello delle strade. All’università ho deciso di entrare nella lingua: volevo capire come è fatta e perché parliamo o scriviamo in un certo modo. Ero talmente dentro che per vari giri sono finita a studiare il catalano medievale. Ho imparato prima quello antico e solo dopo quello contemporaneo, vivendo per un po’ a Barcellona.
Il 2020 è stato un anno intenso e per rendere leggere e digeribili le circostanze, ho cominciato a lavorare il pongo. Attraverso foto o video in stop motion, ho iniziato a raccontare piccole storie, che parlano un po’ di me e un po’ di tutto.

foto Carolina Farina

Io mi chiamo Fahim, sono nato a Pordenone in Italia. Mia mamma e mio papà sono benglalesi, pure io sono benglalese però sono un po’ metà Italiano e metà un po’ benglalese. Io parlo bangla, Italiano, hindi, urdu, inglese, un po’ arabo qualche parola. Sono uno studente, studio a scuola la lingua italiana e pure faccio teatro ad Asinitas. Mi piace anche comporre musica e canzoni, però non sono bravo a cantare, però mi piace. Io provo tutte le cose, poi capisco quali sono quelle giuste per me. Faccio beatbox, e vivo qui con i miei genitori. Per me stare in Italia è meglio che stare in Bangladesh. Mi piace stare qui.

Sono Chiara. Sono nata italiana, e in italiano ho cominciato ad ascoltare il mondo. Mamma e papà a volte mi parlavano in una lingua diversa, che non mi aveva insegnato nessuno e che, inspiegabilmente, comprendevo. Poi ho scoperto un posto chiamato Teatro, e sul palcoscenico ho masticato per la prima volta le parole della mia Manfredonia, ed ho raccontato la mia città attraverso la sua voce, i suoi gesti e la sua umanità. Fra gli ulivi e i muretti a secco ho incontrato cantastorie e musicanti, i tamburi, le battenti e i mandolini, e le canzoni della mia gente sono diventate anche le mie. Mi sono sentita libera di parlare agli altri davanti al mio pianoforte, al mio violino, alla mia vecchia chitarra. Anche quando nessuno mi ascoltava. La musica mi ha insegnato come parlare al mondo intero, e quanto straordinaria sia la potenza comunicativa dell’armonia. Quando sono diventata un’attrice mi hanno resa un foglio bianco.
Allora io ci ho scarabocchiato sopra, in inglese, in francese, in pugliese, in italiano, in napoletano, in grammelot e in tutte le lingue che avevo incontrato sulla mia strada. Ed il mio foglio pieno di storie l’ho stropicciato per modellarlo meglio, e ci ho fatto aeroplanini di carta, che qualche volta, col vento buono, sono riusciti a volare lontano.

foto Carolina Farina

I’m Nawsin and I’m from Bangladesh.
In my autobiography, I share my life’s transformational journey as a Bangladeshi woman embarking on a journey of healing and hope with her spouse. We got married when we were 26 and have faced many challenges together. But despite all this, our love remained strong and longed for a better life. Full of determination, we made the life-changing decision to move to Italy.
Italy welcomed us with open arms and offered us a rich history, culture and friendly people. We struggled to learn new languages ​​and adapt to different cultures, but we never gave up. Our common goal was to help our children lead balanced and fulfilling lives. As a result, our sons and daughters have grown up in an environment that embraces both Bangladeshi traditions and vibrant Italian culture.
When I look back on our journey, my heart is filled with gratitude. Our struggles have shaped us into resilient humans who can embrace change and overcome challenges. Italy has become our second home, where families thrive and dreams come true. Our stories are a testament to the power of love, perseverance, and striving for a better life.
As a Bangladeshi-born woman who found her sanctuary in Italy, I am grateful for the opportunities that have shaped our lives. Our story embodies hope, resilience and a beautiful blend of our Bangladeshi roots and the Italian culture that defines us today. With deep gratitude, we look to the future with excitement and appreciate the steps that have taken us to where we are today.

Sono Deborah. Da quello che mi raccontano i miei genitori il primo suono forte con cui sono venuta a contatto è stato “èèèèèèèèèhhhh” con la bocca aperta, spalancata di mia madre che mentre mi allatta risponde da una stanza a un’altra a mio padre che non trova i calzini nel cassetto. Io così mi sono staccata dal seno e ho iniziato a urlare per farmi sentire, anche oggi quando qualcuno urla io gli urlo sopra per farmi sentire. Sono cresciuta con il dialetto laziale di Colle di Fuori, il mio paese di origine, gli stornelli, tanta musica popolare alle feste in famiglia e l’italiano forbito di mamma che ha sempre visto il dialetto come un nemico da abbattere. Dai miei nonni materni una siciliana e l’altro sardo ho imparato le differenze tra le vocali aperte e le vocali chiuse. Da grande è arrivato il fascino per le lingue e culture straniere e grazie alle permanenze a Dublino e Siviglia ho cominciato a comunicare e a vivere altre lingue, l’inglese, lo spagnolo, il francese e insieme a queste ho scoperto che mi potevo esprimere anche con altri linguaggi teatro, danza e scrittura.

foto Carolina Farina

Sono Sara. Probabilmente le prime parole che ho sentito sono state Ghilaki, un’antica lingua parlata a Gilan, nel nord dell’Iran, che è in declino. Mamma e papà parlavano Ghilaki a casa. Ma quando sono arrivata all’età per parlare, mi hanno parlato in Farsi, la lingua nazionale in Iran. Quindi, non ho mai imparato a parlare in Ghilaki, ma trovo ancora i miei sentimenti più profondi nelle canzoni popolari di Ghilaki. Abbiamo studiato l’Arabo a scuola, ma non mi piaceva impararlo, perché il sistema dittatoriale lo ha scelto per noi. Studiavamo anche inglese, ma i nostri insegnanti non erano bravi e dopo mi sono reso conto che i nostri libri erano pieni di errori linguistici. Un’estate, ho chiesto a mia mamma di mandarmi in un istituto di lingua inglese e un bravo insegnante ha cambiato tutto. Ma quella lezione non è continuata. Infine, ero una studentessa universitaria quando ho imparato l’inglese. Anni dopo, il mio lavoro, l’editing di libri tradotti, mi ha fatto migliorare la mia conoscenza dell’inglese. Sono anche una pittrice. Come tutti i bambini, quando ero piccola disegnavo, ma non ho mai smesso. Ho anche studiato pittura all’università. Linee e colori sono per me un linguaggio espressivo. Sono stata la compagna di un pittore Curdo per diversi anni e ho imparato un po’ di Curdo. E quando ho conosciuto Marco, che ora è mio marito, ho trovato il coraggio di parlare inglese, perché non avevamo altra lingua in comune. Dopo l’immigrazione, ho dovuto imparare rapidamente l’italiano, che è stato molto spiacevole, ma i bravi insegnanti di Asinitas e il laboratorio del teatro con immigrati di altri paesi mi hanno aiutato molto. La migrazione mi ha fatto conoscere molti dialetti e lingue. Ora sento che il mondo è un posto più grande.

Sono Luca. Ho imparato a raccontare storie in italiano da bambino, da mia madre, mio padre e mia sorella che mi parlavano. E’ la prima lingua che ho sentito in vita mia. Al paese di mio padre ho imparato ad ascoltare storie in dialetto lucano. Poi ho iniziato a raccontare storie suonando canzoni con la chitarra, con un gruppo di amici. Ho iniziato a imparare a usare l’ audio e a scrivere tanto. Poi in Spagna mi sono innamorato, ho ballato e sono diventato europeo in spagnolo. Da grande, in Irlanda, con una banda di bambini che correvano tra prati e torrenti ho imparato a prendermi cura di loro in inglese. Nelle scuole di italiano ho ascoltato e provato a dire pochissime parole in bambara, in bangla, in arabo, francese… Adesso mi piace mettere insieme i linguaggi e le lingue che ognuno porta.

Ciao sono Coumba. Sono nata a Roma da mamma italiana e papà senegalese. Ho iniziato a parlare italiano come prima lingua ma sentivo il francese da mio padre e lo masticavo da piccola. Ho studiato al liceo linguistico e ho imparato lo spagnolo e l’inglese. Ho vissuto in Spagna, a Barcellona, per tre mesi, subito dopo il liceo. Da più grande ho vissuto a New York dove ho lavorato in una galleria d’arte e ho iniziato a raccontare la storia delle opere in mostra nella galleria in inglese, in spagnolo e in italiano. Sono tornata a Roma e sono diventata guida turistica e ora racconto la storia di Roma ai visitatori che vengono da tutto il mondo, in inglese e in spagnolo.