In Everyone gets lighter Kinkaleri presenta il codiceK, un altro modo di comunicare, danzando
Un alfabeto gestuale che ci permette di scrivere la parola dentro un gesto e che diventa un metodo per comporre delle coreografie. Ci siamo inventati questi 26 movimenti, più la punteggiatura, che vengono usati con la scelta di alcuni testi, creando quindi una danza. La parola scritta è diventata per noi una partitura.
Alagie Camara: Che cos’è per voi la “comunicazione”, cos’è la comunicazione in questo lavoro che mette in scena un alfabeto così particolare?

foto Chiara Cocchi
Massimo Conti: Questo lavoro innesca un tipo di comunicazione che pretende di non essere la comunicazione dominante. Questo lavoro dice che ognuno di noi ha in sé un mondo che ha tutto il diritto di poter essere espresso, scegliendo le proprie regole. E questa è proprio la relazione che l’arte instaura con il mondo, una sorta di traduzione ma allo stesso tempo di elaborazione.
Luca Lòtano: Da chi o da che cosa prende ispirazione questo progetto?
Massimo Conti: Il lavoro è una parte di un progetto più grande che si chiama All!, che fa riferimento a una serie di poeti, scrittori, intellettuali americani degli anni ’50 e ’60 che hanno elaborato un’idea di comunicazione che non fosse quella dettata soltanto dal potere del linguaggio dominante. William Burroughs, John Giorno, Jack Kerouac, poeti che sono stati fonte di ispirazione nel dire che la comunicazione è sempre qualcosa di soggettivo. Si tratta di stabilire un patto in cui tu accetti di entrare dentro un altro mondo, non soltanto in quello che conosci. E questa è una rivoluzione personale che ognuno ha il diritto di compiere.
Marco Mazzoni: Abbiamo deciso di sviluppare questo rapporto di comunicazione utilizzando un linguaggio che si trasforma in coreografia. La danza è uno di quei linguaggi primordiali che, apparentemente, non dice mai niente di concreto perché è astratta, perché non utilizza delle parole o una narrazione uguale per tutti. In realtà, la danza mette in atto delle sensazioni. Partendo da questa riflessione sul linguaggio coreografico, del quale non afferri il significato concreto se non quello fisico, è nata l’idea di costruire un codice che in qualche maniera – sotto traccia – dicesse delle cose estremamente chiare perché utilizza un linguaggio che tutti conosciamo. Questo linguaggio è quello di un alfabeto che viene però declinato ad una forma astratta nel momento in cui viene trasformato in gesti. Ecco, questo era per noi veramente l’equivalente di dire che si parla semplicemente mettendo in atto qualsiasi forma di composizione. Trasformando la parola in movimento la smembriamo, perché in realtà quel movimento da un senso concreto a quello che dici ma allo stesso tempo ha anche un risultato formale che poi è quello con cui tu parli; perché non è cosi importante comprendere in maniera didascalica quello che stai dicendo, è molto più importante trovare e cogliere la qualità che metti in atto.
Alagie Camara: Nel vostro lavoro si comunica solo nel movimento?

foto Umberto Tati
Massimo Conti: E’ la scrittura che diventa danza. Io ti sto dicendo una poesia che tu puoi trovare scritta sul programma di sala, ma te la propongo dentro un’interpretazione del mondo tutta fisica con cui ti confronti direttamente, con la sua forza, intensità, ritmo. Per un danzatore si tratta di rovesciare completamente il rapporto di presenza sulla scena: non è più inseguire una forma, ma un decifrare la parola giusta, tradurre un testo in movimento. La metafora che usiamo spesso è che la scrittura di questo tradurre è paragonabile a a una calligrafia. La tua scrittura calligrafica è diversa dalla mia, anche se scriviamo la stessa frase. E in questo c’è quel rapporto unico libero e soggettivo che sta dietro a una regola apparentemente rigida quale è quella dell’alfabeto; quando la lettera la porto dentro una dinamica la posso trasformare come voglio.
Marco Mazzoni: Il lavoro che al quale il pubblico partecipa si struttura nella spiegazione di come quella regola si applica e si trasforma, e piano piano lo spettatore viene messo in condizione di poter legger quel linguaggio. Anche se a un certo punto non può più seguire, ormai è chiaro cosa metto in atto, e quindi ogni gesto che vede lo può ricollocare in quel linguaggio che inizialmente ho insegnato.

foto Chiara Cocchi
Alagie Camara: Io lo so, comunicare con il corpo sarebbe interessante. Tre anni fa quando sono arrivato qui in Italia non parlavo italiano, era difficile. Ieri sera era facile capire, perché le lettere le scriveva il corpo. Sarebbe interessante se tutto il mondo parlasse una lingua come questa, in movimento.
Luca Lòtano: È evidente in questo il rapporto tra la memoria e il corpo.
Mahamadou Kara Traore: Quando Luca ha iniziato a insegnare italiano nel centro di accoglienza nel quale stavamo, mi ricordo che faceva le vocali con il corpo. (Mhamadou Kara Traore ride)
Luca Lòtano: È vero! Soprattutto con i ragazzi poco scolarizzati, ricordo che arrivai al corpo per intuizione ma anche un po’ per sfinimento. Quando mi rendevo conto che la differenza tra la “a”, la “e”, la “i” era una differenza troppo astratta da ricordare, passavo al corpo associando un gesto a ogni suono. Mi resi subito conto che funzionava.
Marco Mazzoni: Penso che sono le associazioni che ci facilitano le cose, e più informazioni dai legate alle parole e ai suoni e più diventa facile. Il corpo ha una memoria, la mente ha una memoria, più le metti insieme e più sei avvantaggiato. Una cosa strana che succede spesso ai danzatori è non ricordarsi, a tavolino, la coreografia; ma quando entri in sala prova o sul palco il copro riconosce quel luogo e di punto in bianco ti torna in mente tutto. C’è una memoria fisica che nemmeno la tua mente se la può spiegare.
Massimo Conti: Si, è importante l’esperienza, lo sperimentare, il fare. Perché se non fai, non assimili.
RE.M. REdazione Meticcia
EVERYONE GETS LIGHTER
progetto, realizzazione: Kinkaleri
con: Marco Mazzoni
a cura di: Massimo Conti
produzione: KLm / Kinkaleri
con il sostegno di: Mibac – settore spettacolo Regione Toscana
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